CHI VIVE NELLA LOTTA MUORE LIBERO
con tutto il fervore rivoluzionario
le compagne ed i compagni
hasta siempre Salvatore, Zio Antonio e Claudio

SENZA RAPPRESENTANZA NÉ ISTITUZIONE
NEL TUO RICORDO PER LA RIVOLUZIONE

sabato 25 settembre 2010

Intervista a a Ramòn Llanquileo, prigioniero político mapuche in sciopero della fame


L’intervistato è un giovane che non mangia da più di un mese e che si trova da più di un anno nel carcere El Manzano, senza prove a suo carico. E’ stato messo sotto processo con una legge, la Legge Antiterrorista, creata durante la dittatura per combattere le lotte sociali, che non dà alcuna garanzia di un giudizio equo e molto usata dai governi “democratici”.
PressenzaSantiago, 8/25/10Intervista a Ramòn Llanquileo, giovane agricoltore della Puerto Choque, imprigionato da aprile 2009.
Mentre scriviamo quest’intervista, sono passati più di trenta giorni di sciopero della fame, dieci kili persi e nemmeno una risposta dal governo. Ci sono state manifestazioni in tutto il Cile e all’estero, e sono annunciate ulteriori mobilitazioni. Ramòn risponde con precisione, non una parola di più ne’ una di meno, come se stesse dettando un memoriale. Non parla solo per sé, nelle sue risposte cerca di esprimere il sentimento dei suoi compagni in sciopero, molti di loro appartenenti alla Coordinadora Arauco Malleco (CAM).
-Perché lo sciopero della fame?
“In primo luogo, per esigere che non si applichi la Legge Antiterrorista alla causa mapuche. In secondo luogo, che non venga applicato il processo tramite Giustizia Militare. Come mapuche e come civili non abbiamo la garanzia di una difesa giusta, dal momento che il Pubblico Ministero agisce come accusa e giudice. Inoltre, ci stanno processando attraverso due giustizie, militare e civile. In definitiva, quello che vogliamo è la garanzia di un processo giusto. Per finire, chiediamo la libertà per i prigionieri politici mapuche e la smilitarizzazione del territorio mapuche”.
- Quali sono le ragioni della sua incarcerazione?
“ E’ dovuta a pressioni dell’imprenditoria. Lo Stato Cileno ha solo garantito gli investimenti degli imprenditori senza rispettare i diritti del popolo mapuche”.
-Ma, di cosa vi accusano?
“Dell’attacco al Pubblico Ministero Elgueta”.
- E voi cosa dite a riguardo?
“ E’ stato lo scontro condotto da una comunità in conflitto, si è trattato di autodifesa”.
-Perché non dovete essere giudicati con la Legge Antiterrorista?
“ Perché la Legge è opera di Pinochet, è stata fatta durante la dittatura per reprimere i movimenti e le organizzazioni sociali, questo è il suo senso, e per lo stesso motivo, a questo punto con la “democrazia” e tutte queste parafernalia, non si dovrebbe applicare, specialmente considerando i reclami sociali della gente. Inoltre, perché il fatto che il governo abbia continuato ad applicare questa legge è chiaramente una difesa degli interessi dell’imprenditoria internazionale e del libero mercato che vige nel paese. Per questo ricorrono a queste leggi. Questa è la vera ragione della nostra incarcerazione”.
-Cosa pensate della stampa e di come si è occupata del tema?
“La stampa di Destra non ha detto niente, come c’era da aspettarsi. A livello internazionale è stata dato spazio al tema, ma solo a titolo informativo”.
-Qual’è la sua relazione con la terra?
“ Siamo uno (essere, ndt) fra tanti sulla terra e nel mondo. Essa è nostra madre e non possiamo disporre di lei e sfruttarla più del dovuto. Dobbiamo cercare di recuperarla e fare così un uso razionale della terra. Se non facciamo così, ci convertiamo in un huinca(1) dei tanti”.
-Cosa sta succedendo con la gente che ha comprato terre in zone mapuche, possiede dei fondi, ecc, e sono mostrati dalla stampa come vittime di sequestro da parte dei mapuche?
“ Il mondo mapuche è ampio, grande, c’è gente che ha preferito entrare in un processo di recupero, nel quale si scontrano con questa gente. Però noi (CAM) non lo condividiamo. Crediamo che non valga la pena di litigare con loro.
La nostra lotta è contro le industrie forestali e minerarie che si installano in quelle zone. Nella zona di Lleu Lleu per lo meno, ci troviamo di fronte a problemi relativi alla proprietà dell’acqua e alle politiche di sviluppo che lo Stato intende avviare nel Wall Mapu”.
- Avete ricevuto appoggio?
“Sì, dalla famiglia e da organizzazioni sociali, ma si può fare una critica ai settori popolari di sinistra: loro si sono mantenuti al margine, in silenzio; e chi guarda in silenzio è complice. Si sono coinvolti solo quelli che cercano di trarne qualche profitto politico”.
- Quali sono in generale le richieste del popolo mapuche?
“Recuperare i territori usurpati e con questo anelare ad un processo di ricostruzione nazionale. Per noi è semplice, noi recuperiamo un territorio e su di esso ricostruiamo la nostra cultura e religiosità”.
-Com’è la realtà delle comunità mapuche?
“Difficile e differenziata. In molti casi prospettare la ricostruzione del nostro popolo genera delle reazioni, molti si sentono cileni. Vogliamo e dobbiamo fare in modo che risorga il popolo mapuche, con identità, unità e religione. Alla fine è una sfida tra imprenditoria, Stato e popolo mapuche”.
- Riguardo al processo, cos’è successo?
“ Dura da un anno e tre mesi. Il processo è viziato, giacché secondo la Legge Antiterrorista si possono usare testimoni a volto coperto, che noi non conosciamo e che inoltre possono usare versioni di terzi. Quando si sono sgretolate le accuse, ci hanno di nuovo mandato l’avviso di garanzia(2). Ma è stato invalidato anche quello, perché alcune delle persone sotto indagine sono riuscite a dimostrare che non erano sul posto, uscendo con misure cautelative, e sono ancora in attesa del processo”.
-E voi cosa vi aspettate dal processo? "In relazione a come è stato gestito il processo speriamo di dimostrare tecnicamente la nostra innocenza. Politicamente però sappiamo che la ragione della nostra incarcerazione è l'aver portato avanti un confronto con gli interessi economici della zona”.
(1) Huinca: termine di derivazione mapuche per indicare in generale gli stranieri come non appartenenti al popolo mapuche e con connotazione di invasori e ostili.
(2) Procedimento che nel sistema giuridico cileno si definisce “formalizaciòn”, comparabile con l' avviso di garanzia.
Traduzione dallo spagnolo di Giada Gentile

giovedì 23 settembre 2010

GIOVEDÌ 30 SETTEMBRE-VIVA ZAPATA!-


Giovedì 30 settembre il Comitato di Quartiere Città Vecchia presenta la proiezione del film  
VIVA ZAPATA
un'ottima occasione per ricordare la rivoluzione messicana e l'incredibile storia del Morelos, il paese del sud del Messico che ha visto crescere gli Zapatisti dalla rivoluzione di Madero alla contro rivoluzione di Carranza...

La storia di Zapata e degli Zapatisti dal piano di Ayala alle riforme agrarie nel Morelos.
La storia di un uomo che mantenedo fede alle sue promesse preferisce morire per gli Indios piuttosto che svendere la sua terra e le sua dignità al miglior offerente.

Il film permetterà anche di parlare del popolo Mapuche che abita nelle zone geografiche della Patagonia argentina e dell’Araucania cilena e rivendica il diritto a vivere e lavorare le terre che da sempre appartengono a loro e che sono state completamente trafugate dalle multinazionali grazie all'appoggio del governo 'pseudo-democratico' cileno..
Il governo cileno sta incarcerando i mapuche senza accuse formali applicando un legge anti-terrorismo di Pinochet che non è mai stata abbrogata.
In questi ultimi mesi il prigionieri politici di origine Mapuche hanno proclamato la sciopero della fame clikka il link per leggere l'intervista a Ramòn Llanquileo fatta a Santiago il 25 agosto 2010, giovane agricoltore della Puerto Choque, imprigionato da aprile 2009 nel carcere El Manzano.

Prima, dopo e durante...
GASTRONOMIA POPOLARE

lunedì 20 settembre 2010

GIORNATE CATALANE A TARANTO






Serate di controinformazione sulla realtà dei paesi CATALANI

VENERDÌ 15 Ottobre ore 20,00: DIBATTITO E VIDEOPROIEZIONE sulla realtà dei paesi CATALANI

SABATO 16 Ottobre ore 20,00: CENA POPOLARE con piatti tradizionali catalani
a seguire DJ SET con PD FOTLIFOC
(dj catalano SKA, FOLK, RUMBA, PATXANGA)

venerdì 17 settembre 2010

DALLA VAL SUSA

Ieri intorno alle 19.00 è nato il presidio no tav di Vaie. Una roulotte è
stata posizionata alla Pradera, ai piedi della zona archeologica, sotto il
famoso “Riparo Rumiano”. Per chi non conoscesse il posto bisogna raggiungere
Vaie da una delle tante entrate della statale 25, una volta arrivati in
fondo al paese si incrocia Via Roma, girare a sinistra in direzione Chiusa
S.Michele, Via Roma diventa poi l’antica strada di Francia (la ciclabile).
Il presidio sorge poco fuori dall’abitato in una zona attrezzata da pic-nic
con tavoli e panchine in legno. Esattamente dove è stata posizionata la
roulotte vorrebbero fare il sondaggio S85. Inoltre in quello stesso luogo è
prevista l’uscita del tunnel dell’Orsiera con le sue due canne.
Nella prossima settimana prevediamo di aver anche una struttura in legno
accogliente, con cucina e posti letto, intanto già da adesso chi vuole
passare a trovarci è il benvenuto, il posto è bello con i prati della piana
delle Chiusa sul davanti e il selvaggio bosco di castagni che sale verso il
Folatone, alle spalle. Poco distanti partono il sentiero archeologico e il
sentiero delle macine. Un posto magnifico che non possiamo permetterci di
lasciar devastare. Che lorsignori si rassegnino, a Vaie come altrove non si
passa…a sarà dura…per loro!

Sabato si inizia il trasloco dal presidio di S.antonino.
Lunedì alle 21.00 prima riunione di gestione al presidio di Vaie.
In allegato foto.
Comitato no tav Spinta dal bass – spazio sociale libertario Takuma

martedì 14 settembre 2010

domenica 12 settembre 2010

GIOVEDÌ 16 PA-RA-DA


GIOVEDÌ 16 SETTEMBRE alle ore 21 il Comitato di Qartiere Città Vecchia presenta PA-RA-DA, a seguire CENA POPOLARE

PA-RA-DA (Marco Pontecorvo)
La storia di Miloud Oukili, il clown di strada franco-algerino, diventato famoso per aver scoperto i bambini – randagi di Bucarest e aver creato con loro una compagnia circense itinerante, prende oggi vita grazie al bellissimo lungometraggio d’esordio di Marco Pontecorvo, PA-RA-DA.
La pellicola, che prende il nome proprio dall’affermato gruppo creato da Oukili, rivisita in maniera minuziosa tutta la storia dell’angelo dal naso rosso: dal suo arrivo in Romania nel 1992 con Handicap International, tre anni dopo la fine della dittatura Ceausescu, all’incontro, avvenuto quasi per caso, con i bambini dei tombini, i cosiddetti “boskettari”, fino al progetto (poi realizzato) di creare “qualcosa di unico”, che potesse ridare speranza e dignità. Un paese allo sbando quello rappresentato, una Romania ai margini, fatta di povertà, malavita, indifferenza, dove i bambini, quelli fuggiti dagli orfanotrofi o dalla miseria di famiglie disperate, si ritrovano a vivere, ammassati come creature reiette, nei sottosuoli, nella rete dei canali, in prigioni sporche e soffocanti. Il regista, che di questa storia si è subito innamorato, riesce a costruire una sorta di viaggio documentaristico, prezioso e fortemente emotivo.
Ed ecco che il folle sogno di Miloud di entrare in contatto con quei ragazzi, diffidenti e impauriti prima, riconoscenti dopo, prende forma, senza banalità o virtuosismi registici. Un lavoro che, senza metafore ingombranti, parla della drammaticità di quei giorni, le violenze, la corruzione della polizia, la pedofilia, la droga, la prostituzione, ma anche di amicizia e fratellanza.

venerdì 10 settembre 2010

questa sera!!!!

presidio sotto il carcere di Benevento

Sabato 4 Settembre il Comitato di Solidarietà ad Alì Orgen ha organizzato sotto il carcere di Benevento un presidio contro l'estradizione di Alì.

Il pullman è partito da Taranto verso le 13 portando con se una folta delegazione proveniente un pò da tutta la Puglia.
Verso le 17 siamo arrivati a Benevento, appena scesi dal pullman abbiamo cominciato ad allestire il piazzale davanti all'ingresso del carcere con striscioni foto e materiale informativo vario, dopo poco sono arrivate le delegazioni napoletane e beneventane.

La prima ora di presidio è stata dedicata ad una fondamentale parte informativa svolta per la strada, molte macchine si sono avvicinate agli striscioni incuriosite.

Finita la parte informativa tutto il presidio si è mosso in corteo spontaneo ed è arrivato dietro al carcere là dove sono le celle dei detenuti.

In quel luogo la parte informativa non serviva, servivano solo le voci, voci che dovevano arrivare nelle celle.

Tuttavia il presidio non si è concentrato esclusivamente sulla questione umana, ma soprattutto sulla questione politica.

Alì è in carcere in quanto Kurdo, perchè il popolo Kurdo rivendica il dirittoall'autodeterminazione a parlare la propria lingua a salvaguardare le proprie radici e la propria cultura.

Chiedere la liberazione di Alì significa inevitabilmente chiedere la liberazione del popolo Kurdo perchè sono oltre 10000 i Kurdi sottoposti a torture quotidiane nelle carceri turche anche solo per aver parlato in kurdo.

I militanti del PKK hanno più volte dimostrato di essere partigiani per il Kurdistan e il governo turco altrettante volte ha dimostrato la sua ferocia e il suo tentativo di genocidio del popolo Kurdo, mentre la comunità internazionale finge di non vedere.

L'infamia delle richieste di estradizioni dei kurdi deve finire, lo Stato italiano non può permettere di consegnare nelle mani di questi macellai i nostri fratelli kurdi. Ricordiamo soltanto che quando l'allora governo D'Alema temporeggiava sull'estradizione di Ocalan la Turchia bloccò immediatamente tutti i traffici commerciali in uscita verso l'Italia, non possiamo permettere che questo accada ancora.

Non possiamo permettere che squallidi interessi di mercato abbiano la precedenza sulla vita delle persone e sul diritto di ogni popolo all'autodeterminazione.

Oggi come ieri siamo contro l'estradizione di Alì siamo con i Kurdi e con i PARTIGIANI del Partito dei Lavoratori Kurdo.


articoli di Ocalan usciti sul manifesto tra gennaio e febbraio 2010



DAL MANIFESTO del 09 gennaio 2010


Una pace giusta per noi kurdi



di Abdullah Ocalan


Saluto con grande rispetto tutti i lettori de il manifesto e le amiche e gli amici in Italia.


Un mio ringraziamento particolare va al vostro giornale che mi consente in questo modo la possibilità di esprimere le mie opinioni.


L'Italia è un paese che per me ha un significato tutto particolare.


Non solo perché nel novembre del 1998 la ricerca di una soluzione democratica della questione kurda mi ha condotto a Roma, ma anche per la grande considerazione che nutro nei confronti della storia italiana e delle lotte di liberazione che vi si sono svolte.


Nel mio libro più recente dal titolo La democratizzazione della cultura mediorientale ho dedicato alcune pagine all'Italia e al suo ruolo. Spero che avrò presto l'opportunità di condividerlo coi lettori. Di persona forse una comunicazione diretta non sarà mai possibile a causa del mio isolamento.


Della congiura internazionale che da Roma mi ha portato sull'isola di Imrali vorrei parlare in un altro momento. Non solo per discutere del significato storico di questo evento per i kurdi, ma anche delle strutture di potere del sistema globale e del carattere delle relazioni internazionali. Penso che questo potrebbe interessare anche alla parte progressista dell'opinione pubblica europea.


Io stesso ho tratto degli insegnamenti storici dalla mia odissea durata tre mesi che mi ha condotto a Atene, Mosca e Roma.


Il concetto centrale che si trova nei miei libri più recenti è il concetto di «spirito moderno capitalista», che in questa mia avventura ho conosciuto da vicino, insieme alle sue mille maschere ed armature. Se non fosse stato così, non sarei mai giunto alle conclusioni alle quali sono arrivato. Sarei forse rimasto attaccato ad un semplice nazionalismo di tipo statalista, oppure alla fine sarei diventato parte di un movimento classico di sinistra, come molti prima di me. Come persona pensante orientata verso le scienze sociali, non voglio trarre alcuna conclusione definitiva, tuttavia parto dal presupposto che non sarei mai potuto giungere alle mie analisi odierne.


Insieme al popolo kurdo, combatto non solo per la nostra identità e la nostra esistenza. La nostra battaglia è rivolta anche contro l'ideologia dominante dello spirito moderno capitalista e cerca di portare dalla Mesopotamia, la culla dell'umanità, un contributo per la creazione di un'alternativa, che noi chiamiamo «spirito moderno democratico».


In un contesto di paranoia globale del terrorismo, i tentativi dello stato turco di etichettare la nostra lotta democratica come «terrorista», per noi non sono altro che il gioco della propaganda di vecchia conoscenza. La mentalità dello stato turco di negare fino ad oggi al popolo kurdo i diritti umani fondamentali, non si discosta molto dalla mentalità autoritaria, altrettanto fascista, che nel ventesimo secolo aveva messo piede in Germania ed in Italia.


Ancora oggi la stato turco perpetra un genocidio politico, economico e culturale nei confronti dei kurdi. Al quale il popolo kurdo oppone una resistenza dura ed organizzata. Contro il nazionalismo sciovinista e fascistoide che nel frattempo porta avanti una cultura del linciaggio ovunque vivano i kurdi, continuo la mia ricerca di una soluzione pacifica e democratica. A partire dal 1993 ad oggi ho fatto numerose proposte e passi concreti. Il cessate il fuoco unilaterale del 1999, l'anno della crisi, mantenuto nonostante i vari attacchi, il ritiro della guerriglia dal territorio della Turchia e le delegazioni di pace simboliche dall'Europa e dai monti Kandil, sono solo una piccola parte dei tentativi di pace. Il fatto che anche nel 2009 le armi abbiano taciuto unilateralmente ed una delegazione di guerriglieri sia giunta in Turchia dai monti Kandil, deve servire come prova della continuità e della perseveranza dei miei tentativi di pace.


Nonostante tutto l'atteggiamento dello stato turco non è cambiato. I nostri sforzi in direzione della pace continuano ad essere sottovalutati e vegono indicati come segno di debolezza. Continuano le operazioni militari e gli attacchi contro la popolazione. Tutte le istituzioni statali continuano a gridare ad una sola voce: «Liquidateli!». La manovra diversiva più subdola la sta facendo l'attuale governo dell' AKP, che vuole far credere agli stati europei di operare per la democratizzazione e la soluzione della questione kurda.


E' lo stesso governo che ha fatto leggi grazie alle quali le prigioni turche sono piene di bambini kurdi, e grazie alle quali recentemente a Sirnak cinque bambini sono stati condannati a 305 anni di prigione. Grazie a questo governo è stato possibile vietare il Partito per una Società Democratica (DTP). Ed è sempre questo governo che umilia i kurdi, portando via in manette i sindaci kurdi da loro eletti, rievocando immagini di deportazioni in campi di concentramento.


Il popolo kurdo non smetterà mai di lottare per i propri diritti fondamentali. Continuerà ad organizzarsi per il raggiungimento della dignità e di una vita libera. Otterrà la libertà lottando con mezzi democratici, ma anche rivendicando il diritto all'autodifesa. Non ho il minimo dubbio.


A conclusione di quest'articolo scritto all'inizio di un nuovo anno, auguro al popolo italiano un felice 2010. Possa quest'anno portare alla liberazione dei popoli, delle classi e dei generi oppressi.


Traduzione di Simona Lavo






DAL MANIFESTO del 13 febbraio 2010



Contro di me scelte di guerra



Abdullah Ocalan


Nella sua storia l'umanità è stata spesso testimone di intrighi usati dalle potenze dominanti come strumento per la conservazione del potere. Si potrebbero citare numerosi esempi, dai Sumeri all'impero romano. Sono premesse storiche lontane, ma spiegano bene le congiure delle quali il popolo kurdo spesso è stato vittima. Credo che la congiura internazionale che il 15 febbraio 1999 terminò col mio rapimento e deportazione in Turchia, sia uno degli eventi più importanti nella tradizione di intrighi delle potenze dominanti. La mia odissea attraverso l'Europa iniziò il 9 ottobre 1998 con la partenza dalla Siria. Mi condusse ad Atene, in Russia ed in Italia. Da lì fui costretto a tornare in Russia e poi nuovamente in Grecia. Il tutto terminò col mio rapimento dal Kenya. Parlo di una congiura internazionale, poiché l'intero processo al quale prese parte una coalizione di potenze di quattro continenti, oltre ad intrighi politici ed interessi economici, conteneva anche un complesso mix di tradimento, violenza e inganno. Nonostante siano passati 11 anni, credo che questa congiura internazionale rivolta, attraverso la mia persona, contro il popolo kurdo possa suscitare interesse ancora oggi. Comprenderne le cause e le conseguenze può contribuire a far luce sulla situazione politica attuale. Non ci sono dubbi sull'obiettivo primario degli attori principali, gli Usa, vale a dire l'eliminazione del nostro movimento di liberazione. Gli Stati Uniti, con il loro progetto di Grande Medio Oriente, volevano accendere la fiamma del nazionalismo e creare nuovi piccoli stati nazionali per mantenere il controllo del Medio Oriente nei decenni a venire. Un tale progetto non lascia naturalmente alcuno spazio ai movimenti di liberazione. Esiste quindi un collegamento diretto tra il loro progetto di un Grande Medio Oriente e la mia estradizione in Turchia. Gli avvenimenti che si sono succeduti dal 2003 confermano la mia affermazione. Il fatto che noi rappresentiamo una terza, vera alternativa, rispetto ad un equilibrio fondato esclusivamente sulla scelta tra potenze dominanti internazionali e forze reazionarie regionali, ci ha resi bersaglio di attacchi ideologici e politici.


Oltre a questo fine principale, la congiura internazionale perseguiva altri due obiettivi. Da un lato, con la mia morte o la mia reazione all'estradizione, ci si aspettava un'etnicizzazione del conflitto, vale a dire una guerra tra turchi e kurdi. Quello a cui oggi assistiamo in Iraq era stato allora pianificato per la Turchia. L'indebolimento della Turchia a tutti i livelli - sia politico che economico - l'avrebbe completamente legata agli Usa. Il mio comportamento accorto ed il mio intervento per una soluzione pacifica sventarono invece questo piano. Si evitò «l'irachizzazione» della Turchia. Ho lottato con tutte le mie forze per una soluzione pacifica. L'ho fatto di mia spontanea volontà e nella convinzione che fosse nell'interesse dei popoli. Ho inoltre sempre mantenuto un comportamento indipendente e pacifico. È proprio per questo motivo che siamo stati la loro spina nel fianco. Il movimento di liberazione kurdo aveva sempre inteso la propria battaglia, in corso ormai da vent'anni, come difesa del sentimento di fratellanza tra Turchi, Kurdi e tutti i popoli del Medio Oriente. Ha sempre avuto come fine un'unione democratica. Abbiamo sempre fatto affidamento sulle nostre forze e sulla nostra libera volontà. Abbiamo sempre fatto tutto il possibile per preservare la nostra sovranità. Per questo motivo, nonostante la situazione estremamente critica, continuai con la nostra politica perseguita a partire dal 1993 e volta ad una soluzione democratica e pacifica. Ciò in accordo con la nostra linea e come risposta alla congiura. Se la congiura quindi non ha conseguito a pieno il suo scopo, lo si deve in buona parte alla nostra strategia per la pace e per una soluzione democratica.


Dall'altro lato questa congiura politica ebbe anche una dimensione economica. Fin dall'inizio ho sempre sottolineato l'importanza del progetto del gasdotto chiamato Blue Stream, sul quale bisognerebbe fare chiarezza e che fa parte di questa rete di intrecci economici. Blue Stream è un grande gasdotto che trasporta il gas russo in Turchia passando sotto il Mar Nero. Di recente attraverso i miei avvocati sono venuto a conoscenza di un articolo apparso su un giornale turco, nel quale uno dei funzionari allora in servizio afferma che questo progetto, inizialmente bloccato a causa delle condizioni svantaggiose per la Turchia, dopo la mia espulsione dalla Russia il 12 novembre 1998 venne improvvisamente ripristinato su richiesta del governo turco. Ciò avrebbe cambiato il destino del progetto. Il funzionario continua dicendo che dopo la mia partenza dall'Italia il gruppo italiano Eni entrò a far parte del progetto. Questo esempio da solo basta a mostrare come, in collegamento con la mia persona, si stringono accordi economici alle spalle del popolo kurdo. Queste losche relazioni vanno ben più in profondità di quanto ad oggi non si sia potuto scoprire. Gli stati europei affermano ripetutamente di rappresentare la democrazia ed i diritti umani. Tuttavia mi chiusero tutte le porte e non fecero alcun vero tentativo di giocare un ruolo costruttivo nella soluzione della questione kurda. Al contrario si inchinarono ancor di più al volere degli USA e della Nato e, accettando di divenire il palcoscenico della congiura, si assunsero una parte infelice e drammatica. Ecco il vero volto del sistema europeo.


In questo contesto il governo greco giocò un ruolo particolare. Il fatto che andai in Grecia a seguito di un invito da parte di alcuni amici e che fui rapito e portato in Kenya, in violazione del diritto nazionale ed internazionale, mostra come a questo paese venne affidato il ruolo più sporco. Qui si rivelarono nel modo più palese le menzogne, il tradimento e l'ipocrisia che sono alla base del concetto di congiura. L'Italia invece, se paragonata agli altri paesi, si comportò in maniera leggermente migliore. Tuttavia anche lì venni isolato e fecero di tutto per liberarsi di me. Credo che durante il mio soggiorno a Roma abbia avuto un ruolo decisivo un'unità della Gladio, contro la quale il governo italiano era impotente. Il governo italiano non ebbe la fiducia in se stesso e le forze necessarie per prendere una decisione autonoma. Devo comunque ricordare che, a differenza del governo greco, tutto ciò che accadde dopo il mio arrivo fu trattato nell'ambito del diritto.


Ancora una volta vorrei ribadire che farò di tutto per opporre a questi intrighi la pace ed una soluzione democratica. Il fatto che la Turchia come in passato non abbia alcuna reazione ai nostri tentativi di pace, ma persegua una strategia volta all'eliminazione del movimento di liberazione, può essere interpretato come la continuazione della congiura internazionale. A tale riguardo la strategia della pace e della democrazia rappresenta un'opzione importante non solo per i kurdi, ma per tutti i popoli del Medio Oriente.


I cospiratori di allora, le forze reazionarie nazionali ed internazionali, reggono ancora le fila come in passato. Tuttavia anche le forze che combattono per la democrazia e la libertà continueranno la loro lotta, al pari del popolo kurdo e avanzeranno sulla loro strada decise e risolute. Le dimensioni di questa congiura hanno mostrato quanto sia importante che gli oppressi ed i popoli del mondo contrappongano all' «offensiva globale» del capitalismo una loro «democrazia globale», e rafforzino ulteriormente questa posizione. Io la penso così, oggi come allora.


Traduzione: Simona Lavo

martedì 7 settembre 2010

VENERDÌ 10 SETTEMBRE

Come ogni fine settimana arriva puntuale l'aperitivo al comitato.. un tranquillo preserata con musica e cucina popolare...

ps per tutti quelli che erano presenti all'ultimo aperitivo... tranquì il frigorifero è stato SOSTITUITO!!!

giovedì 2 settembre 2010

GIOVEDÌ 9 SETTEMBRE: PRIMAVERA IN KURDISTAN-CENA POPOLARE



Il comitato di Quartiere Città Vecchia continua la sua rassegna sulla questione internazionale attraerso la rpoiezione del film-documentario: PRIMAVERA IN KURDISTAN dalle ore 21.

A seguire cena popolare

Il cinema di Stefano Savona, regista palermitano residente in Francia, è un cinema eminentemente politico. Se la forma espressiva di cui Savona si serve è quella del documentario, il suo è però senza dubbio un cinema che strizza l'occhio più a De Seta che all'ammiccante e conciliante Michael Moore. Primavera in Kurdistan, è un film politico e poetico, che narra del viaggio di alcuni combattenti del Pkk (il Partito dei Lavoratori del Kurdistan) dal Nord dell'Iraq verso il confine con la Turchia. Il percorso tra le montagne, che Savona ha seguito con la sua telecamera nel maggio del 2003, è un percorso nella vita di questi combattenti un Kurdistan idealmente libero, che ancora oggi pare avere il diritto di esistere solo su quelle montagne.


Chi sono questi combattenti, quali sono le loro rivendicazioni e quale la loro storia? L'esperienza di questi ragazzi e ragazze viene raccontata dal regista in maniera essenziale, delicata, tramite uno sguardo ravvicinato ma rispettoso, privo di ogni eccesso retorico.

Una cosa è evidente fin dall'inizio, e costituisce il filo conduttore del film: la resistenza di questi combattenti ha il volto sorridente delle donne curde, che lottano ormai da anni non già (non più) per l'autonomia o per l'indipendenza, ma per il riconoscimento dell'esistenza del proprio popolo nella costruzione della repubblica turca, che ancora oggi si ostina a negarlo. Sono giovani donne, alcune delle quali nate e cresciute in Europa - come d'altronde il narratore Akif, nato e cresciuto in Germania, il cui diario scandisce i momenti narrativi del film -, che non perdono il sorriso neanche quando raccontano delle torture subite da parte dell'esercito iracheno. Donne la cui preparazione è politica prima che militare, come a dimostrare che la libertà e l'indipendenza sono questioni di spirito prima ancora che di forza, strettamente connesse agli aspetti più variegati dell'esistenza umana.

mercoledì 1 settembre 2010

sabato 4 PRESIDIO SOTTO IL CARCERE DI BENEVENTO


Sabato 4 Settembre il Comitato di Solidarietà ad Alì Orgen indice un presidio sotto il carcere di Benevento per denunciare ancora una volta l'ingiusta detenzione di Alì Orgen, le infami torture a cui sono sottoposti i curdi in Turchia e l'ignobile complicità dello Stato italiano nel genocidio del popolo curdo attraverso processi di estradizione illegittimi.

Il pullman per Benevento partirà dalla concattedrale alle ore 12,30 il costo del biglietto è di 10 euro a persona.
È fondamentale la partecipazione di quanta più gente possibile, ora più che mai serve una forte presenza che aiuti Alì a sopportare lo stato di detenzione e che richiami l'attenzione dei media affinchè il caso Alì Orgen diventi quanto più pubblico possibile.
Non possiamo permettere che gli infami accordi economici tra lo Stato italiano e quello turco si consumino sulle spalle di Alì e di tutt* le/i curd*.

Chiunque voglia prenotare può passare dal phone-center di Alì in via Mazzini 105
o inviare una mail a aliorgenlibero@gmail.com