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lunedì 14 novembre 2011

Sulla Rigenerazione..


Quartieri che rinascono. Parti di città, destinate al degrado (ambientale, ma anche sociale), che cambiano destinazione e, a volte, rifioriscono. Da Milano a Madrid, da New York a Medellin, da Copenaghen a Tripoli e Seul. Delle "città di domani”, sostenibili, intelligenti, inclusive, si dibatte da alcuni decenni in mezzo mondo, finalmente con lo sguardo rivolto agli abitanti più che agli edifici. Concetti come qualità della vita, ascolto dei cittadini, welfare urbano diventano quasi ovunque elementi portanti delle più recenti politiche di rigenerazione urbana. L'integrazione delle politiche urbanistiche, economiche e sociali e la centralità che i bisogni e i desideri dei cittadini assumono in questo ambito ne sono i temi centrali. La letteratura scientifica è ormai ricca di interventi e tesi che indagano il rapporto tra urbanistica e comunità, anche se spesso i punti di vista utilizzati per osservare le trasformazioni urbane e i relativi piani non riscuotono i consensi e l’interesse delle maggioranze. Come hanno recentemente messo in evidenza alcune delle più accorte “sperimentazioni” in campo, sembra possibile descrivere almeno due distinte modalità di approccio al rapporto tra urbanistica e comunità: l’urbanistica con le comunità, ma anche l’urbanistica per le comunità. La prima è quella dei cosiddetti poteri forti, politico, finanziario e immobiliare sopra tutti, ma anche degli enti pubblici, che pianificano in nome dell’interesse pubblico e dei cittadini ma non sempre tengono conto realmente delle loro esigenze e delle loro opinioni. La seconda, che spesso si contrappone alla prima ma che dovrebbe essere almeno complementare, è l’urbanistica che nasce nelle comunità, tra i cittadini che vogliono partecipare alle decisioni che riguardano il proprio quartiere e la propria città. Molto spesso, purtroppo, le riflessioni circa il rapporto tra pianificazione urbanistica e potere si intrecciano alle tante, possibili mistificazioni del principio della partecipazione. Non è infatti sufficiente che le istituzioni garantiscano la riproduzione della struttura sociale nei processi decisionali, poiché ciò significa soltanto riprodurre gli squilibri di potere esistenti, senza garantire una effettiva influenza dei meno rappresentati. Inoltre, i decisori pubblici hanno la possibilità di favorire o di scoraggiare la partecipazione democratica, di informare o disinformare, di essere trasparenti o di manipolare le informazioni, condizionando così l’andamento dei processi.
Nella nostra città, anch’essa interessata da un progetto di rigenerazione urbana ma piuttosto avara di meccanismi e strumenti che permettano ai cittadini di incidere nelle scelte che li riguardano da vicino, un episodio verificatosi pochi giorni fa permette mirabilmente di “fotografare” lo stato dell’arte.
Accade che nella Città Vecchia, in Piazza San Francesco, che oggi ospita la sede dell’Università degli Studi di Bari con chi ne fruisce, dei segnali provvisori indichino il divieto di sosta causa lavori urgenti di rifacimento della segnaletica stradale (inesistente). Con grande meraviglia, all’indomani, cittadini residenti e studenti si accorgono che tali lavori consistono nel posizionamento di numerosi “dissuasori fissi” in cemento armato e di un cancello in ferro, disposti nel bel mezzo della Piazza. Allo stupore dei tanti residenti accorsi a presidiare i lavori, ma anche alla legittima rabbia degli stessi per un’opera inspiegabile, commentata sia come insensato scempio urbanistico e sperpero di denaro pubblico che come vera e propria opera di “divisione” di uno spazio, soprattutto sociale, facevano da riscontro il silenzio o le “spallucce” dei pochi tra gli amministratori locali giunti a dare informazione dell’opera, il cui vero obiettivo sarebbe stato quello di “sperimentare provvisoriamente” forme di inibizione al traffico di quel breve tratto di via Duomo che dall’ingresso dell’Università conduce a Piazza Castello, perché “ci sono i progetti di Rigenerazione Urbana e l’isola deve cambiare”. Cosa che, buttata lì sul momento, ha immediatamente incontrato il favore della stragrande maggioranza dei presenti, perlopiù ignari dei “progetti”, ma più che propensi a migliorare la qualità del proprio spazio urbano, quello vissuto e abitato 365 giorni all’anno. Ma a quel punto i dubbi sono emersi in maniera più atroce di prima e nessuno tra i convenuti (abitanti, studenti, artigiani, commercianti) riusciva a spiegarsi in quale misura quei lavori sarebbero stati funzionali all’obiettivo posto dall’alto. Che senso aveva dividere la piazza in due con una struttura che non agevolava neanche il transito pedonale? Come sarebbero passati da lì i passeggini, i diversamente abili oppure le ambulanze, in caso di emergenza? Come si sarebbero svolte le normali operazioni di carico e scarico merci di quelle attività commerciali e produttive che in quel tratto, operano? In quale altro centro storico si era mai visto adoperare cancelli a dividere lo spazio pubblico urbano? E se si voleva giustamente porre un freno al pericoloso, riconosciuto fenomeno dello “sfrecciare” ad alta velocità dei motocicli in via Duomo, sarebbero stati “ingabbiati” anche vicoli e botteghe? E perché non si erano previste misure di arredo e decoro urbano, per migliorare proprio quegli spazi urbani ora vissuti in simbiosi da giovani studenti e residenti, al posto di cancelli e divisori? Ma soprattutto, perché non coinvolgere ed informare prima gli abitanti del quartiere, che sono i primi interessati da questi progetti e che possono essere magari in grado di formulare proposte e soluzioni più adeguate ai loro bisogni e più efficaci rispetto al contesto, che conoscono meglio di chiunque altro?
L’epilogo di questo episodio contiene però, molto probabilmente, le migliori risposte a tutte queste domande.
Di fronte alle sensate obiezioni dei cittadini il Comune di Taranto ha deciso di fare marcia indietro: ha fatto sì che i cancelli tornassero sullo stesso mezzo con il quale erano arrivati, e ha promesso di rivedere le modalità di attuazione del progetto, lasciando la Piazza libera di essere quello che è, uno spazio sociale aperto alla fruizione di tutti. Sono passati alcuni giorni, qualcuno tra gli amministratori è sceso dal Palazzo, distante soli pochi metri dalla Piazza, ad ascoltare gli abitanti della Città Vecchia e a confrontarsi con loro. Nel frattempo i lavori sono ancora fermi. I cittadini invece no, non hanno perso tempo. Hanno continuato a incontrarsi e a parlarsi, come qui si usa fare ogni giorno a qualsiasi ora, hanno raccolto le idee e proposto le loro soluzioni, coniugandole ai propri bisogni. Le hanno messe per iscritto, su di una petizione popolare che da qualche giorno sta raccogliendo le firme di tutti coloro che di quello spazio urbano fruiscono, comprese quelle dei cittadini residenti al borgo o in altri quartieri della città, degli studenti, dei docenti, dei professionisti, dei turisti che lo attraversano. Non chiedono solo che si attui l’isola pedonale in via Duomo ma anche che si restituisca dignità alla Piazza e ai vicoli limitrofi, installando panchine, fioriere, contenitori per la raccolta differenziata e rastrelliere per le bici, che si ripristino e si riaprano le postierle tra via Di Mezzo e via Duomo. Si Impegnano a non parcheggiare i propri mezzi sotto casa e a coinvolgere gli altri abitanti dell’isola al rispetto dei futuri divieti di transito veicolare. In altre parole ragionano da Comunità, desiderosi di scegliere, contare e partecipare.
Nella letteratura scientifica di cui sopra, questo episodio sarebbe citato come una forma corretta di pianificazione urbanistica con la cittadinanza, un processo bottom up.
Ma forse questi processi, fondamentali nei Piani di Rigenerazione Urbana, sono sconosciuti a funzionari pubblici e amministratori, che “sperimentano” dall’alto, rifuggono il confronto e progettano di rigenerare Taranto, dando un peso urbanistico centrale al Borgo e alla Città Vecchia (che intanto continuano a svuotarsi di persone e servizi ed a cadere a pezzi), costruendo 4.500 nuovi alloggi al quartiere Salinella, 650 al Paolo VI, altri 1.500 intorno all’area Cimino - Auchan. Come sottolineato dal grido d’allarme lanciato in questi giorni da Confcommercio e dalla Confesercenti, operazioni difficili da giustificare in una città che conta 12.000 abitazioni non occupate e che registra un evidente calo demografico.
La Città Vecchia e il Borgo chiamano, il confronto con la città non può più essere eluso. E’ ora che si svelino i reali contenuti attorno ai quali si muove il Piano di Rigenerazione Urbana e che chi dovere, li esponga con chiarezza.

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