Quartieri
che rinascono. Parti di città, destinate al degrado (ambientale, ma
anche sociale), che cambiano destinazione e, a volte, rifioriscono.
Da
Milano a Madrid, da New York a Medellin, da Copenaghen a Tripoli e
Seul. Delle "città di domani”, sostenibili, intelligenti,
inclusive, si dibatte da alcuni decenni in mezzo mondo, finalmente
con lo sguardo rivolto agli abitanti più che agli edifici. Concetti
come qualità della vita, ascolto dei cittadini, welfare urbano
diventano quasi ovunque elementi portanti delle più recenti
politiche di rigenerazione urbana. L'integrazione delle politiche
urbanistiche, economiche e sociali e la centralità che i bisogni e i
desideri dei cittadini assumono in questo ambito ne sono i temi
centrali. La
letteratura scientifica è ormai ricca di interventi e tesi che
indagano il
rapporto tra urbanistica e comunità,
anche se spesso i punti di vista utilizzati per osservare le
trasformazioni urbane e i relativi piani non riscuotono i consensi e
l’interesse delle maggioranze. Come hanno recentemente messo in
evidenza alcune delle più accorte “sperimentazioni” in campo,
sembra possibile descrivere almeno due distinte modalità di
approccio al rapporto tra urbanistica e comunità: l’urbanistica
con
le
comunità, ma anche l’urbanistica per
le
comunità. La prima è quella dei cosiddetti poteri forti, politico,
finanziario e immobiliare sopra tutti, ma anche degli enti pubblici,
che pianificano in nome dell’interesse pubblico e dei cittadini ma
non sempre tengono conto realmente delle loro esigenze e delle loro
opinioni. La seconda, che spesso si contrappone alla prima ma che
dovrebbe essere almeno complementare, è l’urbanistica che nasce
nelle comunità, tra i cittadini che vogliono partecipare alle
decisioni che riguardano il proprio quartiere e la propria città.
Molto spesso, purtroppo, le riflessioni circa il rapporto tra
pianificazione urbanistica e potere si intrecciano alle tante,
possibili mistificazioni del principio della partecipazione. Non è
infatti sufficiente che le istituzioni garantiscano la riproduzione
della struttura sociale nei processi decisionali, poiché ciò
significa soltanto riprodurre gli squilibri di potere esistenti,
senza garantire una effettiva influenza dei meno rappresentati.
Inoltre, i decisori pubblici hanno la possibilità di favorire o di
scoraggiare la partecipazione democratica, di informare o
disinformare, di essere trasparenti o di manipolare le informazioni,
condizionando così l’andamento dei processi.
Nella
nostra città, anch’essa interessata da un progetto di
rigenerazione urbana ma piuttosto avara di meccanismi e strumenti che
permettano ai cittadini di incidere nelle scelte che li riguardano da
vicino, un episodio verificatosi pochi giorni fa permette
mirabilmente di “fotografare” lo stato dell’arte.
Accade
che nella Città Vecchia, in Piazza San Francesco, che oggi ospita la
sede dell’Università degli Studi di Bari con chi ne fruisce, dei
segnali provvisori indichino il divieto di sosta causa lavori urgenti
di rifacimento della segnaletica stradale (inesistente). Con grande
meraviglia, all’indomani, cittadini residenti e studenti si
accorgono che tali lavori consistono nel posizionamento di numerosi
“dissuasori fissi” in cemento armato e di un cancello in ferro,
disposti nel bel mezzo della Piazza. Allo stupore dei tanti residenti
accorsi a presidiare i lavori, ma anche alla legittima rabbia degli
stessi per un’opera inspiegabile, commentata sia come insensato
scempio urbanistico e sperpero di denaro pubblico che come vera e
propria opera di “divisione” di uno spazio, soprattutto sociale,
facevano da riscontro il silenzio o le “spallucce” dei pochi tra
gli amministratori locali giunti a dare informazione dell’opera, il
cui vero obiettivo sarebbe stato quello di “sperimentare
provvisoriamente” forme di inibizione al traffico di quel breve
tratto di via Duomo che dall’ingresso dell’Università conduce a
Piazza Castello, perché “ci sono i progetti di Rigenerazione
Urbana e l’isola deve cambiare”. Cosa che, buttata lì sul
momento, ha immediatamente incontrato il favore della stragrande
maggioranza dei presenti, perlopiù ignari dei “progetti”, ma più
che propensi a migliorare la qualità del proprio spazio urbano,
quello vissuto e abitato 365 giorni all’anno. Ma a quel punto i
dubbi sono emersi in maniera più atroce di prima e nessuno tra i
convenuti (abitanti, studenti, artigiani, commercianti) riusciva a
spiegarsi in quale misura quei lavori sarebbero stati funzionali
all’obiettivo posto dall’alto. Che senso aveva dividere la piazza
in due con una struttura che non agevolava neanche il transito
pedonale? Come sarebbero passati da lì i passeggini, i diversamente
abili oppure le ambulanze, in caso di emergenza? Come si sarebbero
svolte le normali operazioni di carico e scarico merci di quelle
attività commerciali e produttive che in quel tratto, operano? In
quale altro centro storico si era mai visto adoperare cancelli a
dividere lo spazio pubblico urbano? E se si voleva giustamente porre
un freno al pericoloso, riconosciuto fenomeno dello “sfrecciare”
ad alta velocità dei motocicli in via Duomo, sarebbero stati
“ingabbiati” anche vicoli e botteghe? E perché non si erano
previste misure di arredo e decoro urbano, per migliorare proprio
quegli spazi urbani ora vissuti in simbiosi da giovani studenti e
residenti, al posto di cancelli e divisori? Ma soprattutto, perché
non coinvolgere ed informare prima gli abitanti del quartiere, che
sono i primi interessati da questi progetti e che possono essere
magari in grado di formulare proposte e soluzioni più adeguate ai
loro bisogni e più efficaci rispetto al contesto, che conoscono
meglio di chiunque altro?
L’epilogo
di questo episodio contiene però, molto probabilmente, le migliori
risposte a tutte queste domande.
Di
fronte alle sensate obiezioni dei cittadini il Comune di Taranto ha
deciso di fare marcia indietro: ha fatto sì che i cancelli
tornassero sullo stesso mezzo con il quale erano arrivati, e ha
promesso di rivedere le modalità di attuazione del progetto,
lasciando la Piazza libera di essere quello che è, uno spazio
sociale aperto alla fruizione di tutti. Sono passati alcuni giorni,
qualcuno tra gli amministratori è sceso dal Palazzo, distante soli
pochi metri dalla Piazza, ad ascoltare gli abitanti della Città
Vecchia e a confrontarsi con loro. Nel frattempo i lavori sono ancora
fermi. I cittadini invece no, non hanno perso tempo. Hanno continuato
a incontrarsi e a parlarsi, come qui si usa fare ogni giorno a
qualsiasi ora, hanno raccolto le idee e proposto le loro soluzioni,
coniugandole ai propri bisogni. Le hanno messe per iscritto, su di
una petizione popolare che da qualche giorno sta raccogliendo le
firme di tutti coloro che di quello spazio urbano fruiscono, comprese
quelle dei cittadini residenti al borgo o in altri quartieri della
città, degli studenti, dei docenti, dei professionisti, dei turisti
che lo attraversano. Non chiedono solo che si attui l’isola
pedonale in via Duomo ma anche che si restituisca dignità alla
Piazza e ai vicoli limitrofi, installando panchine, fioriere,
contenitori per la raccolta differenziata e rastrelliere per le bici,
che si ripristino e si riaprano le postierle tra via Di Mezzo e via
Duomo. Si Impegnano a non parcheggiare i propri mezzi sotto casa e a
coinvolgere gli altri abitanti dell’isola al rispetto dei futuri
divieti di transito veicolare. In altre parole ragionano da Comunità,
desiderosi di scegliere, contare e partecipare.
Nella
letteratura scientifica di cui sopra, questo episodio sarebbe citato
come una forma corretta di pianificazione urbanistica con la
cittadinanza, un processo bottom
up.
Ma
forse questi processi, fondamentali nei Piani di Rigenerazione
Urbana, sono sconosciuti a funzionari pubblici e amministratori, che
“sperimentano” dall’alto, rifuggono il confronto e progettano
di rigenerare Taranto, dando un peso urbanistico centrale al Borgo e
alla Città Vecchia (che intanto continuano a svuotarsi di persone e
servizi ed a cadere a pezzi), costruendo 4.500 nuovi alloggi al
quartiere Salinella, 650 al Paolo VI, altri 1.500 intorno all’area
Cimino - Auchan. Come sottolineato dal grido d’allarme lanciato in
questi giorni da Confcommercio e dalla Confesercenti, operazioni
difficili da giustificare in una città che conta 12.000 abitazioni
non occupate e che registra un evidente calo demografico.
La
Città Vecchia e il Borgo chiamano, il confronto con la città non
può più essere eluso. E’ ora che si svelino i reali contenuti
attorno ai quali si muove il Piano di Rigenerazione Urbana e che chi
dovere, li esponga con chiarezza.
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